Nelle Arti Marziali si familiarizza presto col principio di kuzushi (崩し). E’ un termine che traduciamo sbrigativamente con “squilibrio” ma il verbo da cui deriva, kuzureru, ha una semantica più profonda: crollare, collassare, demolire…
Un interessante lavoro di etimologia di Noriko Williams ci aiuta a comprendere la nascita della grafia del kanji 崩, che abbiamo riportato nell’immagine di questo post. Si vede piuttosto chiaramente che il kanji contiene l’ideogramma yama (山 la montagna) e tomo (朋 che secondo Williams non significa “amico”, ma è la trasposizione grafica “sbagliata” del disegno di fili di collana che si dividevano. Questo forse era più chiaro negli ideogrammi arcaici).
Al di là di questioni etimologiche, rimane il fatto che kuzushi è ben più di uno squilibrio. Ha a che fare col crollo di una montagna, con la distruzione di ciò che riteniamo essere più solido.
In questi giorni e nei prossimi mesi facciamo esperienza di forti squilibri e di parziali crolli di quelle che credevamo essere nostre certezze mentre, probabilmente, si trattava di comode abitudini ritenute dovute. Poter uscire e andare come, dove e con chi credevamo. Poter aprire gli occhi e ritenere scontato di avere intorno a noi le persone care. Poter lavorare e disporre a proprio piacimento del superfluo del superfluo del superfluo.
Sul tatami non c’è possibilità alcuna di preservare per sempre la propria posizione. Il movimento è esso stesso uno squilibrio dinamico. Sferrare l’attacco è un salto totale al di fuori della propria area di comfort. Riceverlo per potersi rialzare significa distaccarsi da tutto ciò che credevamo e riscoprire i confini di ciò che siamo.
Questo impariamo, perché questo è ciò che siamo: esploratori dello squilibrio. Cadiamo e ci alziamo, cadiamo e ci alziamo.
Meglio: distruggiamo le nostre illusioni e costruiamo le nostre certezze.
Per questo siamo convinti che questa situazione di precarietà possa essere la vera medicina di cui abbiamo bisogno.
Perché può darsi benissimo che, sotto sotto, scopriamo di essere portatori di ben poche certezze. Magari di nessuna.
Possiamo scoprire, ripensando alla nostra pratica, di essere stati abili mentitori e di aver soffocato con la forma ciò che ogni caduta, ogni tecnica sbagliata, ogni kuzushi inferto e subito aveva da dire alla parte più vera di noi.
Quindi, benvenuto kuzushi! Alla fine di tutte queste cadute saremo tutti un po’ più acciaccati e stanchi ma saremo più veri.